I sogni colorati di Isabella Staino

  (L. Anelli)  

Sembra chiusa in un suo bozzolo di sogni, in una sua felicità ritrovata in un casale abbandonato ancorato ad un cipresso puntato verso il cielo; ed invece Isabella Staino comunica con una straordinaria affabulazione attraverso i colori di una tavolozza simbolica, parlante.
È questo il suo modo di parlare e di scrivere: più per mezzo di forme e di colori, che non attraverso segni e suoni.

Una volta ha lasciato scritto in un volumetto (2010, riproduce meno di una ventina di opere) a proposito della sua serie di ritratti ispirati a quelli del Fayoum: "Mi piace stare stretta in questo contenitore, / mi obbliga a spingere più forte la creatività / ed argina l'immensa pianura delle possibilità / dove è facile perdersi".
Versi dai quali non è difficile capire che ci troviamo di fronte ad un poeta; ma nel cui animo, insieme alla meraviglia per il creato, alberga anche un'ironia fanciullesca, divertente.
La galleria dei volti, "ritratti immaginari" secondo l'artista (che si esprime con un bell'ossimoro difficile da incasellare), sarebbero "curiose presenze ficcanaso" che escono in rilievo ad annusare "oltre il confine del quadro". Il quadro è, dunque, la tavoletta di cm 43x17 che supporta ciascuna testa: occhi grandi, sopracciglia imponenti, trucco alla Cleopatra, capelli dai colori infantilmente gioiosi e busti tagliati subito sotto il collo, come in effetti avveniva nelle tavolette dell'oasi egiziana, cosiffatte perché dovevano emergere dalle bende della mummia solo in corrispondenza dei volti, secondo un costume dei primi secoli dell'era cristiana. Isabella non li copia, ma si dà il compito di rendere coi suoi colori l'intensità inimitabile degli sguardi e dei caratteri.
Isabella non li imita, ma in queste esagerate tipizzazioni personali, con l'innocenza delle caratterizzazioni proprie degli sforzi infantili, coglie le accentuazioni fisionomiche per indirizzarle ad un colloquio tra mondo immaginario e vissuto quotidiano.
Sembrerebbe la volontà di aprire una finestra perché "i volti escano in rilievo ad annusare / oltre il confine del quadro".
Già il fatto che il quadro sia descritto col suo confine è in fondo una confessione, il disvelamento di un'attitudine mentale.
Nessuno si sognerebbe di parlare di un proprio quadro come di un limite, di un confine. Ma credo si tratti di un confine sottile sottile, che per sua natura non ferma il movimento interiore dell'artista: insomma solo la piega di un'ombra.
E, mentre ascolto Isabella cercare la chiave per superare il limite di quell'ombra, mi viene in mente che non ho visto nessuna finestra nei suoi quadri: solo qualche rara porta, nel fondo della stanza, generalmente piccola, talvolta aperta (in "Le due verità" del 2007, anche spalanca a ricevere il soffio vitale di un raggio giallo fluttuante nell'aria) ma più spesso chiusa, come per non disperdere l'atmosfera della stanza verso la quale l'artista ha messo tanta cura per farne un perfetto universo conchiuso.
Ed allora sarebbe meglio ricominciare da due elementi che Antonio Tabucchi colloca a conclusione di una sua novella, che accompagna un libro di opere della Staino: il cipresso e l'ombra.
Nello scritto, che ha la lievità artistica di una narrazione infantile, i due elementi assumono la valenza di una dichiarazione "di poetica", nel mentre si caricano del compito di spiegare quando e come Isabella diede principio alla propria carriera di pittrice.
Le ombre - dico quelle "portate" e quella della sera e della notte, cioè quelle che s'imparano all'Accademia di Firenze, dove pure Isabella ha studiato con molto successo - sono assenti dai suoi quadri, oppure sono interpretate in modo molto personale; per esempio in un grande quadro ("Le muse" del 2007) l'ombra, con un bello scherzo intellettuale, proviene da una porta che si apre su una stanza buia.
E come fa?
Semplice: è la porta stessa a riversare l'ombra dal vuoto buio che contiene la stanza. E allora? E allora è una spiegazione facilissima: è l'essenza dell'ombra come potrebbe immaginarla un bambino e non una pittrice avvertita e sapiente com'è la Staino.
Ed infatti la pittrice, commossa dalla richiesta dell'ombra esausta "perché tutti la cacciano via" e nessuno la vuole, l'accetta: "sta arrivando la notte e ti inghiottirebbe. Mettiti pure comoda nel quadro che preferisci, questa è casa tua".

Si sarà già capito che il bello della pittura della Staino sta nell'originalità; il valore della sua poetica, in un atteggiamento infantile di fertile meraviglia per il creato e per tutte le sue creature, e specialmente per il cipresso, per l'ombra, per le erbe, per gli animali, quelli veri e quelli fantastici ... e pure per i sogni, i propri sogni, che sono anch'essi creature di questo incantevole creato. Anzi, sono l'origine della creazione degli animali, delle figure umane, delle pareti, dei pavimenti, delle porte chiuse e di quelle aperte.
Più chiuse che aperte, scrivevo più sopra.
E qui sarei portato a parlare di un altro confine che è il limite, non materiale ma mentale, che ogni artista prima o poi, anzi nell'attimo stesso della sua creazione, deve necessariamente porre a se stesso, per dare un ubi consistam all'ispirazione che, per sua natura, lo scaglierebbe lontano a perdersi nell'universo, nell'altezza irraggiungibile, incommensurabile dell'aspirazione.
Ma credo che il limite di Isabella - che pure si è data quello non dubitabile della stanza chiusa, delle certezze protette, dello spazio da cui è impedito ai pensieri di fuggire furtivamente - sia in realtà il tempo conchiuso del suo sogno d'arte e di poesia; e nell'inverarsi dei suoi sogni notturni o diurni che con prepotenza l'obbligano al gesto creativo dei pennelli sulla tela, nelle sue impareggiabili, oniriche ambientazioni, nelle quali perfino un pavimento (però amato ed accarezzato con sincera disposizione d'arte) può assurgere a protagonista.