L’arte di Isabella Staino. In volo tra sogno e realtà

  (L.Valcepina)  
  2013  

come petali che si staccano da un tessuto

e si librano nell’aria, i sogni aleggiano e danno fiato alla realtà.
I dipinti di Isabella li accolgono, come la natura fa con le sue creature.

Livorno. Città di mare, brulicante di vita, con le sue strade popolate, tra scambi di battute e sguardi. Qui, nei pressi di un chiassoso mercato, incontro e conosco per la prima volta Isabella Staino. Carisma, ironia, profondità e bellezza.
La città mi pare il naturale contesto in cui un’anima libera, ispirata e vitale può sentirsi a casa, magari con qualche capatina rigenerante nelle vicine campagne.

Isabella ha scelto Livorno e probabilmente Livorno ha scelto lei, artista di origine fiorentina che dalla nascita ha conosciuto e respirato l’arte, in ogni sua forma, per poi approfondirla e sperimentarla in Accademia, esprimerla attraverso variegati percorsi e una fitta serie di esposizioni e collaborazioni. Isabella dipinge da sempre, da quando, come la raffigurò Antonio Tabucchi reinventandone l’infanzia, «da bambina (...) pensava al mondo per colori». 

Giovane artista dalla solida e sfaccettata carriera: insieme a Sergio Staino, ha corredato di preziose illustrazioni i racconti di Adriano Sofri; ha collaborato con teatri e compagnie (tra cui i Gogmagog) realizzando scenografie, costumi e maschere; ma soprattutto Isabella ha sperimentato e vissuto la pittura in profondità, con un innato gusto per il colore, le forme, esplorandone simbolismi e densità cromatiche.

Il suo presente è straripante di idee e ispirazioni. «Nessun progetto» mi dice, «ho la mente così ricca di suggestioni che il dipinto diviene naturalmente espressione. Non amo pensare ai cosiddetti “cicli pittorici” né orientare a priori la mia creatività».

E il concetto è chiaro perché lo sguardo di Isabella ha l’intensità di una Frida Kahlo livornese e le sue opere sono talmente ricche di particolari velati, sottesi, sfumature di senso... da trascinarti “altrove”. Forse perché l’artista, come scrisse Adriano Sofri, «è abitata da una ricca vita segreta». Una vita che, di certo, non se ne sta rintanata.

L’artista crea gli sfondi, le ambientazioni in cui il “femminile”, nelle sue declinazioni, si muove, a volte come una presenza leggera e diafana, a volte con netto vigore, come quel rossore che compare spesso sulle gote dei soggetti quasi in «una reazione istintiva e non controllabile».

Attorno, il mondo onirico tesse trame segrete e visibili al tempo stesso: suggestioni di abissi, presenze enigmatiche, abbracci di una natura avvolgente, tra sospensione, inquietudine e attesa. E così, a chi sa sondare lo spazio “oltre lo sguardo”, capita di imbattersi in sognanti damine, nate dai ricci di mare, le quali, commenta l’artista, «fluttuano in un “non luogo” aspettando di essere dipinte».

Isabella mi mostra le opere del passato: il ciclo (che “ciclo” non è) del Capoluogo Onirico (2002), i ritratti in rilievo ispirati a quelli del Fayoum (“presenze ficcanaso” - 2009), alcuni ex-voto che additano al miracolo; le illustrazioni dedicate alle novelle di Buzzati (tra cui Il borghese stregato e la destabilizzante goccia che risale le scale - 2010), le tele scaturite dalle suggestioni di un viaggio in India (2010)...

Tra gli artisti amati e i cenni all’arte, ricorrono spesso nei suoi racconti lo stesso Buzzati pittore e Balthus. E il laboratorio, abitato dagli ampi e avvolgenti dipinti, da osservare a distanze diverse per coglierne le vibrazioni e le profondità, si trasforma nello scenario di una vita, giovane e matura al tempo stesso, dedicata alla pittura.

Isabella è proprio come le donne dei suoi quadri: volge lo sguardo verso spazi insondati, al di là della tela, oltrepassando quel tratto che definisce la scansione temporale e fisica dell’opera, ma indugiando sulla soglia, sottile e permeabile, dove sogno e realtà si alternano, si confondono, dialogano. Il tutto indagando i temi del doppio, lo specchio, i mondi sottosopra, con qualche spunto esotico e fiabesco, tra abissi e armonia.

 

Un filo conduttore attraversa queste creazioni: il senso del meraviglioso che scaturisce come energia primigenia, con quella perizia tecnica che sfocia nella naturalezza, a tratti fanciullesca, nel surreale interpretato con vibrante poesia.

 Isabella ama raccontare le sue opere anche nella loro realtà fisica, fatta di ideazione e gesti, a volte lievi, accennati, a volte vigorosi e spavaldi, a seconda dell’effetto da ottenere, in una sequenza che per l’artista ha la sacralità e l’intensità del rito. «All’inizio la tela bianca è il territorio della libertà, dell’immenso, dove posso lasciarmi andare; poi pian piano l’opera prende forma, mi indirizza all’interno di una traccia, attraverso un lavoro lento, rigoroso e complesso, fino al cuore dell’opera. Quando intravedo la fine, il compimento del percorso, allora posso godermi gli ultimi tocchi, le pennellate conclusive che mi appagano e mi riempiono di soddisfazione».

Mentre Isabella parla, con la voce e lo sguardo, sembra di vederla all’opera: l’artista che nell’atto pittorico esprime l’immensità dei suoi mondi anche quando li ambienta in interni e spazi intimi, anche quando indugia su dettagli realistici: un tessuto, un pavimento, una tazzina di caffè. Dà nuova vita agli oggetti del quotidiano grazie al tocco dell’immaginario e commenta: «Dipingo la notte, nel sogno, quando provo a volare e ci riesco».